Cos’è il dolore?
Il dolore è un’esperienza spiacevole legata ad un danno tissutale in atto o potenziale con componenti sensoriali, emozionali, cognitivi e sociali. Questi aspetti possono influenzare il dolore, perciò è utile saper riconoscere il tipo di sofferenza in atto.
Un elemento fondamentale è che il dolore non rappresenta solo un danno, infatti sentire male non significa necessariamente che si stia danneggiando qualcosa.
Il nostro corpo presenta dei sensori chiamati nocicettori, i quali inviano, attraverso i nervi, dei segnali di potenziale pericolo al midollo spinale. Grazie a questa comunicazione il cervello è in grado di prendere una decisione subconscia, valutando se quel segnale nocicettivo è meritevole di produrre sofferenza o meno.
Lo scopo del dolore è quello di attivare dei meccanismi in grado di proteggerci, questi fungono da allarmi, e sono utili nel momento in cui si presenta un dolore immediato. Lo stimolo se perdura nel tempo può amplificare la percezione del male, senza che esso sia realmente presente in quel preciso istante.
“Gli esseri umani sono creature con abitudini e il dolore si comporta allo stesso modo. E’ come se diventassimo più bravi nel produrre dolore.”
Bisogna creare delle memorie e delle nuove associazioni. Spesso si associa un movimento al dolore, o la paura o la preoccupazione che quel determinato gesto possa provocare sofferenza. Di conseguenza il nostro corpo mette in atto dei sistemi di autodifesa che spesso limitano il movimento.
Quali sono le tipologie di dolore?
Da un punto di vista patofisiologico il dolore può essere classificato in:
-nocicettivo: causato da lesioni, disfunzioni transitorie del sistema nervoso periferico o centrale. Il dolore nocicettivo comporta l’attivazione diretta dei nocicettori. A seconda della localizzazione, il dolore viene suddiviso in somatico superficiale, profondo e viscerale.
neuropatico: causato o innescato da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale o periferico. A differenza del precedente, questa tipologia è considerata patologica, in quanto perde la funzione adattiva e può slegarsi dalla lesione iniziale al punto da instaurare una patologia da dolore cronico.
psicogeno: è attivato da centri neurali chiamati pain network. Queste “stazioni”del nostro cervello sono in grado di evocare l’esperienza spiacevole che noi attribuiamo al dolore, anche in assenza di uno stimolo effettivamente dannoso. Si tratta di un meccanismo che funziona per suggestione, che induce questi centri ad attivarsi dando come risposta finale il sintomo: dolore.
misto: prevede la manifestazione contemporanea di tutte le altre componenti precedentemente descritte.
Qual’è la differenza tra dolore acuto e dolore cronico?
In base alla durata dell’esperienza dolorosa e il suo valore adattivo, si possono differenziare:
Dolore acuto: dura alcuni secondi ed è strettamente connesso allo stimolo doloroso. Induce una risposta di fuga, volta ad interrompere il contatto con lo stimolo e preservare l’organismo da ulteriori traumi tissutali; spesso è di tipo nocicettivo, ma può anche originarsi da lesioni al sistema nervoso. Tale dolore si accompagna ad una esperienza emotiva e cognitiva spiacevole.
Dolore cronico: dura mesi o anni e comunque oltre il tempo previsto per la risoluzione dell’evento dannoso. È una tipologia di dolore che comporta alterazioni non solo sensoriali, ma anche cognitive ed emotive. Se da un lato include fenomeni come l’iperalgesia (eccessiva sensibilità al dolore) e l’allodinia (percezione del dolore ad uno stimolo normalmente innocuo), dall’altro induce stati di ritiro sociale, apatia e mancanza di piacere. Il dolore cronico può essere di tipo nocicettivo ma anche neuropatico, oltre che essere causato sia da un danno tissutale sia da un fattore apparentemente ignoto.
Cos’è il dolore cronico?
Il dolore cronico è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un danno tissutale effettivo o potenziale che perdura nel tempo.
Di conseguenza, il dolore cronico risulta sensibile a fattori ambientali e affettivi, che possono aumentare l’intensità e la durata. La “sindrome da dolore cronico” è caratterizzata da una preoccupazione costante per il funzionamento del corpo, che induce la persona a ricercare immediato e continuo sollievo dal dolore abusando di farmaci e cure mediche.
Il concetto di sofferenza si riferisce oltre alla nocicezione anche alla dimensione psicologica, perciò nella terapia è necessario un coping tra i due aspetti.
Il dolore cronico è spesso il problema clinico unico o predominante in alcuni pazienti. Come tale può giustificare una specifica valutazione diagnostica, terapia e riabilitazione. La recente letteratura scientifica incoraggia trattamenti multidisciplinari che uniscano interventi passivi a quelli in cui il paziente ha un ruolo attivo, che agiscano maggiormente sugli aspetti psico-sociali del dolore e che migliorino le capacità cognitive e comportamentali del paziente. Il dolore cronico infatti può dipendere, per ogni individuo, da fattori di natura diversa: biologica, psicologica o sociale. Questa è la ragione per la quale nell’approccio terapeutico a questa condizione è necessario l’utilizzo del “modello biopsicosociale”.
Come trattare il dolore cronico?
Il dolore cronico è un fenomeno molto complesso e altrettanto complessa è la sua gestione terapeutica, soprattutto se si tratta di un dolore neuropatico. Trovarsi di fronte ad un dolore cronico è sempre una grossa sfida per il medico che deve scegliere la terapia più efficace e sicura per ciascun paziente, soprattutto se si tratta di un caso con un dolore cronico già trattato con diverse opzioni che non hanno dato risultati soddisfacenti in termini di sollievo.
Il trattamento del dolore cronico in primo istante è la terapia con farmaci, spesso abbinata ad altri trattamenti non invasivi, come le terapie fisiche (con ultrasuoni, laserterapia, magnetoterapia), le tecniche di meditazione e rilassamento e quelle psicologiche. Se i trattamenti farmacologici, singoli o in combinazione, falliscono o si dimostrano inefficaci, si rende necessario ricorrere alle terapie cosiddette “interventistiche”, come la neurostimolazione midollare (SCS).
La disponibilità della SCS rende possibile offrire un trattamento efficace e sicuro a quei casi con dolore cronico particolarmente difficile, quale quello neuropatico, che è refrattario alle terapie farmacologiche e non-farmacologiche di routine. E’ una preziosa arma terapeutica con cui curare un dolore cronico particolarmente difficile.
Per favorire la progressiva riduzione del dolore, è utile l’esecuzione di esercizi fisici di diversa intensità. Questi sono adattati dal terapista in modo specifico in base alla patologia presente, con un costante monitoraggio.
Associati al movimento spesso è utile affiancare l’uso di terapie fisiche come:
laser terapia: ha un effetto antidolorifico, antiedemigeno e antinfiammatorio, ha molteplici campi di applicazione. Il raggio laser penetra nei tessuti, determinando una risposta biochimica sulla membrana cellulare e all’interno dei mitocondri (con effetti positivi come vasodilatazione, aumento del drenaggio linfatico e attivazione del microcircolo)
magneto terapia: si tratta di emissioni di campi elettromagnetici attraverso un apparecchio elettronico trasferiti al paziente con degli appositi applicatori. Questo apparecchio sfrutta l’azione fisica delle onde elettromagnetiche a diverse frequenze e intensità, mobilitando gli ioni positivi e negativi. La magnetoterapia interviene sulle cellule ed in particolare sulla loro carica energetica, ristabilendo il loro corretto equilibrio in presenza di traumi, infezioni o problemi similiari
ultrasuoni: utilizza le onde sonore con frequenza superiore alla nostra soglia di udito. È considerata una terapia termica meccanica che, attraverso la penetrazione delle onde sonore, è capace di ottenere particolari benefici. L’efficacia della terapia a ultrasuoni si basa su un’azione di massaggio cellulare ed intercellulare ad alta frequenza. I tessuti irradiati con ultrasuoni entrano a loro volta in vibrazione, con conseguente dispendio energetico e produzione di calore: da questo effetto deriva quello curativo.
Le terapie non farmacologiche per curare il dolore rivestono una grande importanza e vanno considerate.
Si tratta di interventi di natura fisica o comportamentale che richiedono consapevole e attiva partecipazione da parte del paziente al programma terapeutico.
Come ridurre il dolore cronico?
Aumentare e mantenere la attività fisica è importante nella gestione del dolore persistente.
Un aspetto peculiare del dolore, consiste nel catturare e trattenere l’attenzione, interferendo con l’azione organizzata e il pensiero razionale. Orientare selettivamente l’attenzione verso uno stimolo può amplificare l’intensità della percezione dello stimolo stesso: in particolare, uno stimolo nocivo viene percepito in maniera più intensa se l’attenzione è focalizzata sul dolore; al contrario, la percezione algica sarà notevolmente ridotta se il focus attenzionale è spostato su aspetti esterni.
Esiste anche un trattamento terapeutico cognitivo-comportamentale, che non riguarda l’eliminazione del dolore, ma aiutare chi soffre di dolore cronico a vivere in modo più soddisfacente nonostante la presenza del disagio. La terapia si prefigge di insegnare al paziente nuove risposte cognitive e comportamentali al dolore, per aumentare il controllo soggettivo sul dolore e sulla capacità di ridurre le emozioni, i pensieri e i giudizi “irrazionali” su di esso.
Una parte del percorso terapeutico viene dedicata all’apprendimento di tecniche di rilassamento e di controllo dello stress come il rilassamento Muscolare Progressivo, con la respirazione Diaframmatica Controllata, con il Biofeedback e con la Mindfulness, dando modo ai pazienti di conoscere profondamente il proprio dolore, avendo dominio delle proprie sensazioni e delle proprie capacità di modulazione. Nel programma terapeutico multidisciplinare possono essere inclusi la riduzione dei sedativi e analgesici, l’attività fisica, lo sviluppo di abilità, la preparazione alla ripresa del lavoro, l’educazione circa l’anatomia umana, la fisiologia e la psicologia del dolore, nonché l’eventuale risoluzione di conflitti con famiglia e lavoro. Infine, si concordano strategie per l’acquisizione, il mantenimento e generalizzazione delle abilità e strategie per la prevenzione delle ricadute.
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